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Thursday, 31 May 2007

E nessuno ha ancora risposto....

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

On. Giorgio NAPOLITANO


e p.c.

Presidente del Consiglio – On. Romano PRODI

Ministro dell’Economia e delle Finanze – Prof. Tommaso PADOA SCHIOPPA
Ministro dello Sviluppo Economico – On. Perluigi BERSANI
Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – On. Alfonso PECORARO SCANIO
Ministro per le Politiche Europee – On. Emma BONINO

Presidente del Senato – Sen. Franco MARINI
Presidente della Camera dei Deputati – On. Fausto BERTINOTTI

Presidente V Commissione Bilancio Senato – Sen. Enrico MORANDO
Presidente VI Commissione Finanze Senato – Sen. Giorgio BENVENUTO
Presidente X Commissione Industria Senato – Sen. Aldo SCARABOSIO
Presidente XIII Commissione Ambiente Senato – Sen. Tommaso SODANO
Presidente XIV Commissione Politiche UE Senato – Sen. Andrea MANZELLA

Presidente V Commissione Bilancio Camera – On. Lino DUILIO
Presidente VI Commissione Finanze Camera – On. Paolo DEL MESE
Presidente X Commissione Attività Produttive Camera – On. Daniele CAPEZZONE
Presidente VIII Commissione Ambiente Camera – On. Ermete REALACCI
Presidente XIV Commissione UE Camera – On. Franca BIMBI



4 aprile 2007

Illustre Signor Presidente,

è da tempo che l’Associazione Galileo 2001 vede con preoccupazione le decisioni assunte dai Governi e dal Parlamento italiano di ratificare il Protocollo di Kyoto. Maggiore preoccupazione manifestiamo oggi per l’ipotesi di assunzione di impegni ancora più gravosi in sede europea e nazionale relativi alla politica ambientale ed energetica.

Come cittadini e uomini di scienza, avvertiamo il dovere di rilevare che la tesi sottesa al Protocollo, cioè che sia in atto un processo di variazione del clima globale causato quasi esclusivamente dalle emissioni antropiche, è a nostro avviso non dimostrata, essendo l’entità del contributo antropico una questione ancora oggetto di studio.

In ogni caso, anche ammettendo la validità dell’intera teoria dell’effetto serra antropogenico, gli obiettivi proposti dal Protocollo di Kyoto sono inadeguati, poiché inciderebbero solo in modo irrilevante sulla quantità totale di gas serra. Totalmente inadeguati rispetto al loro effetto sul clima ma potenzialmente disastrosi per l’economia del Paese. Dal punto di vista degli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo rileviamo che:

1. l’Italia si è impegnata a ridurre entro il 2012 le proprie emissioni di gas-serra del 6.5% rispetto alle emissioni del 1990;
2. poiché da allora le emissioni italiane di gas-serra sono aumentate, per onorare l’impegno assunto dovremmo ridurre quelle odierne del 17%, cioè di circa 1/6;
3. in considerazione dell’attuale assetto e delle prospettive di evoluzione a breve-medio termine del sistema energetico italiano, il suddetto obiettivo è tecnicamente irraggiungibile nei tempi imposti.



All’impossibilità pratica di rispettare gli impegni assunti fanno riscontro le pesanti sanzioni previste dal Protocollo per i Paesi inadempienti, che rischiano di costare all’Italia oltre 40 miliardi di euro per ciò che avverrà nel solo periodo 2008-2012.

Al fine di indirizzare correttamente le azioni volte al conseguimento degli obiettivi di riduzione, occorre tenere presente che i settori dei trasporti e della produzione elettrica contribuiscono, ciascuno, per circa 1/3 alle emissioni di gas serra (il restante terzo è dovuto all’uso d’energia non elettrica del settore civile/industriale). Giova allora valutare cosa significherebbe tentare di conseguire gli obiettivi del Protocollo in uno dei seguenti modi:

* sostituire il 50% del carburante per autotrazione con biocarburante;
* sostituire il 50% della produzione elettrica da fonti fossili con tecnologie prive di emissioni.

1. Biocarburanti. Per sostituire il 50% del carburante per autotrazione con bioetanolo, tenendo conto dell’energia netta del suo processo di produzione, sarebbe necessario coltivare a mais 500.000 kmq di territorio, di cui ovviamente non disponiamo. Anche coltivando a mais tutta la superficie agricola attualmente non utilizzata (meno di 10.000 kmq), l’uso dei biocarburanti ci consentirebbe di raggiungere meno del 2% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.

2. Eolico. Sostituire con l’eolico il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili significherebbe installare 80 GW di turbine eoliche, ovvero 80.000 turbine (una ogni 4 kmq del territorio nazionale). Appare evidente il carattere utopico di questa soluzione (che, ad ogni modo, richiederebbe un investimento non inferiore a 80 miliardi di euro). In Germania, il paese che più di tutti al mondo ha scommesso nell’eolico, i 18 GW eolici – oltre il 15% della potenza elettrica installata – producono meno del 5% del fabbisogno elettrico tedesco.

3. Fotovoltaico. Per sostituire con il fotovoltaico il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili sarebbe necessario installare 120 GW fotovoltaici (con un impegno economico non inferiore a 700 miliardi di euro), a fronte di una potenza fotovoltaica attualmente installata nel mondo inferiore a 5 GW. Installando in Italia una potenza fotovoltaica pari a quella installata in tutto il mondo, non conseguiremmo neanche il 4% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.

4. Nucleare. Per sostituire il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili basterebbe installare 10 reattori del tipo di quelli attualmente in costruzione in Francia o in Finlandia, con un investimento complessivo inferiore a 35 miliardi di euro. Avere 10 reattori nucleari ci metterebbe in linea con gli altri Paesi in Europa (la Svizzera ne ha 5, la Spagna 9, la Svezia 11, la Germania 17, la Gran Bretagna 27, la Francia 58) e consentirebbe all’Italia di produrre da fonte nucleare una quota del proprio fabbisogno elettrico pari alla media europea (circa 30%).

Come si vede, nessuna realistica combinazione tra le prime tre opzioni (attualmente eccessivamente incentivate dallo Stato) può raggiungere neanche il 5% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Agli impegni economici corrispondenti si dovrebbe poi sommare l’onere conseguente all’acquisto delle quote di emissioni o alle sanzioni per il restante 95% non soddisfatto.

Esprimiamo quindi viva preoccupazione per gli indirizzi che il Governo e il Parlamento stanno adottando in tema di politica energetica e ambientale, e chiediamo pertanto:

1. che si promuova la definizione di un piano energetico nazionale (PEN), anche con la partecipazione di esperti europei, che includa la fonte nucleare – che è sicura e rispettosa dell’ambiente e l’unica, come visto, in grado di affrontare responsabilmente gli obiettivi del Protocollo di Kyoto – e che dia alle fonti rinnovabili la dignità che esse meritano ma entro i limiti di ciò che possono realisticamente offrire;

2. che la comunità scientifica sia interpellata e coinvolta nella definizione del PEN e che si proceda alla costituzione di una task force qualificata per definire le azioni necessarie a rendere praticabile l’opzione nucleare;

3. che si interrompa la proliferazione di scoordinati piani energetici comunali, provinciali o regionali e che non siano disposte incentivazioni a favore dell’una o dell’altra tecnologia di produzione energetica al di fuori del quadro programmatico di un PEN trasparente e motivato sul piano scientifico e tecnico-economico.



Restiamo a Sua disposizione, Signor Presidente, per documentarLa puntualmente su quanto affermiamo.



Presidente: Renato Angelo Ricci

Consiglio di Presidenza: Franco Battaglia
Carlo Bernadini
Tullio Regge
Giorgio Salvini
Umberto Tirelli
Umberto Veronesi

Consiglio Direttivo:

Cinzia Caporale
Giovanni Carboni
Maurizio Di Paola
Guido Fano
Silvio Garattini
Roberto Habel
Corrado Kropp
Giovanni Vittorio Pallottino
Ernesto Pedrocchi
Francesco Sala
Gian Tommaso Scarascia Mugnozza
Paolo Sequi
Ugo Spezia
Giorgio Trenta
Giulio Valli
Paolo Vecchia

Altri firmatari:

Claudia Baldini
Argeo Benco
Ugo Bilardo
Giuseppe Blasi
Paolo Borrione
Cristiano Bucaioni
Luigi Chilin
Raffaele Conversano
Carlo Cosmelli
Riccardo DeSalvo
Silvano Fuso
Oliviero Fuzzi
Giorgio Giacomelli
Renato Giussani
Luciano Lepori
Carlo Lombardi
Alessandro Longo
Stefano Monti
Antonio Paoletti
Salvatore Raimondi
Marco Ricci
Roberto Rosa
Angela Rosati
Massimo Sepielli
Elena Soetje Baldini
Roberto Vacca
Giuseppe Zollino

Friday, 9 February 2007

Welcome home

From Nature, 8th of February.


Italian and Spanish researchers returning from abroad deserve more support.

Most European nations bemoan an academic 'brain drain' that flows mostly in the direction of the United States. But the situation is not uniform. Germany, for example, is prone to grumble, but it has a well-funded, well-organized research infrastructure, and a regular supply of new academic positions. More than 80% of German scientists who go abroad for their PhDs or postdocs eventually return home.

Not all countries are so fortunate. When the infrastructure at home is poor, few migrants will return to the nest. Italy and Spain have both endured a prolonged haemorrhaging of talent. Having failed to invest properly in basic research for decades, both nations have recently attempted to plan a better future. In 2001, they each launched programmes specifically designed to entice well-trained scientists back home, by providing an attractive salary and research funding for up to five years.

Italy's 'Rientro dei cervelli' ('Brain gain') programme has so far brought back over 460 scientists; Spain's Ramon y Cajal scheme has attracted more than 2,000. The initial idea of both programmes was that researchers returning home would then be ideally placed to compete for local, permanent jobs. But thanks to bad planning, few of the returnees are as well-integrated as they had hoped. In the underfunded systems they found themselves in, few jobs became available.

The next step was therefore to encourage universities to create the required positions. Last year, Italy made an offer that, although modest, seemed to provide a solution. The government allocated euro dollar3 million (US$3.9 million) a year to pay for 95% of the salaries of returning scientists who were deemed worthy of a permanent position by their university departments.

But much of the money remains unspent. Many universities did not nominate candidates partly because they see the 'Brain gain' programme as institutionalized queue-jumping, pushing returning scientists ahead of those who stayed at home waiting for jobs to show up. Most of the nominations were blocked on technical grounds by the similarly unsympathetic National Committee of Universities, which has to verify the eligibility of all candidate professors.

Two years ago, the Spanish government made a similar offer, to fund the full costs of the first three years of 900 new academic posts. But uptake by universities has been patchy.

Full cooperation from the universities is essential if such schemes are to work. It would not have been easy universities hate being told who to hire but it should have been sought from the start.

Measures to bring in new talent are essential if Spain and Italy are to meet their scientific aspirations. It is now up to the universities to see the bigger picture and show more flexibility in supporting returning scientists.

Thursday, 8 February 2007

Il Faust scientifico

L'altra sera ero al pub per un compleanno e mi son ritrovato a parlare con un post-doc del mio laboratorio... parlando del gruppo e di scienza a un certo punto lui mi chiede se per me sara' difficile scegliere cosa fare alla fine del dottorato qui...
Eh come se non ci avessi pensato..
Lui mi dice che se gli offrissero un posto in Italia non ci penserebbe due volte: voglio dire l'Italia, such a wonderful place! (ingenuo! pensavo io..) E io che cercavo di fargli capire che si, l'Italia e' un posto stupendo e davvero se penso a come si vive li non c'e' davvero paragone con l'Inghilterra ma che se uno vuole fare ricerca allora l'Italia non e' proprio il posto giusto.
Le possibilita' i mezzi che ci sono qui non si trovano in Italia. Manca la connessione fra universita' e industria, anzi manca del tutto l'industria, manca la disponibilita' economica, manca alle fondamenta una cultura e una popolazione che sia convinta che la scienza possa portare dei miglioramenti reali alla qualita' della vita (un sacco di volte vedendo in prima pagina a caratteri cubitali sul Times o il Guardian la notizia dello sviluppo di un nuovo farmaco o l'ultima scoperta sulle cellule staminali mi son chiesto se la stessa cosa potesse succedere in Italia).
Cosi' se uno vuole fare ricerca ai massimi livelli e' molto piu' facile andare all'estero e lavorare la'. E non ho rimpianti per la scelta che ho fatto anche perche credo che un periodo all'estero cambi davvero il tuo modo di vedere le cose, ma quando si tratta di decidere dove fermarsi e mettere radici, cosa e' piu' importante?
Questo per il primo dubbio che mi assilla pur rimanendo nel sottobosco della mente.
C'e' secondo me una altra scelta che si pone a chi decide di fare della scienza il proprio lavoro:
la ricerca e' una compagna estremamente esigente: come tempo, come energie, come priorita'. Se si vuole avere risultati, fare a ricerca a buon livello devi fondalmentalmente venderle l'anima. Si, c'e' bisogno del giusto ambiente, dei mezzi, del giusto laboratorio ma alla fine devi essere disposto a spendere ore su ore in lab, a organizzare il resto della tua vita in sua funzione.
Ho amici che sono anche loro venuti qui in Inghilterra che stanno facendo davvero benissimo a livello scientifico e la cui carriera sta gia prendendo un piega piu' che positiva. Ma quando esco con loro vedo che il rischio di avere la scienza come unico pensiero e unico argomento di discussione e non so se voglio correre quel rischio per una migliore carriera.
Cosi' per ora ho preso una decisione intermedia: ho dato in prestito alla scienza l'anima per la durata del dottorato (mantenendone comunque sempre un piccolo pezzetto per gli altri piaceri dalla vita, dal cibo alla vita sociale, alla cultura) per vedere cosa succede e cosa ne verra' fuori. ogni decisione e' rimandata all'anno prossimo per il momento, ma i dubbi rimangono...

Saturday, 6 January 2007

1000 euro al mese...

Giusto nel caso uno si dimentichi perche', fra le altre cose, si trovi a Londra:

http://www.repubblica.it/2007/01/sezioni/scuola_e_universita/
servizi/salari-ricercatori/salari-ricercatori/salari-ricercatori.html